PRESENZE / INSIDE_ME / IGLOO

DICEMBRE 2013. Come qualsiasi processo biodinamico che si rispetti, anche l’evoluzione progettuale deve incontrare i molteplici organi del museo ospitante. Era quindi necessario che il lavoro negli spazi esterni dialogasse con le sale interne di Palazzo Collicola, sorta di organi caldi dove si elaborano e metabolizzano i contenuti proposti. Da qui la decisione di lasciare margine elaborativo all’artista, destinandogli due sale dalla collocazione non casuale. Oltre le finestre finali della seconda sala si trova, infatti, la zona esterna dell’Oasi Collicola, il giardino elettivo di questa domus mutante. Osservando l’opera dall’alto si comprendono le relazioni simbiotiche tra struttura e natura, le decostruzioni provocate dalle quinte di specchi, il dinamismo del verde che s’insinua tra i materiali, la consunzione come principio di completamento concettuale. La relazione con le due sale è quindi diretta, un dialogo a distanza minima che determina ramificazioni di forma e senso. Le conseguenze di cui parlavo si rivelano, di fatto, in questo dialogo tra fuori e dentro, nei transfert informativi che lo spettatore rende tangibili quando attraversa le zone di connessione.

Il museo come insieme olistico di organi vitali
L’opera come nuova tabella degli elementi chimici
L’allestimento come grammatica della biologia espositiva

PITTURA. La pittura che riveste gli elementi della domus scende sui panneggi bianchi, sui pannelli installativi, sui cartoni da pacchi. Il colore aggredisce le superfici per integrarsi alla trama materica, come se cercasse una simbiosi primordiale, uno stato epidermico che renda “archeologico” lo strato delle apparenze. Pennacchi trasforma così le basi cromatiche in una continua variabile della nota dominante, rompendo le gerarchie tonali, mescolando le dissonanze con atteggiamento polifonico. Stesso discorso quando spezza il confine incorniciato, aderendo a una superficie aperta dalle terminazioni sospese. La lezione di Emilio Vedova e Mario Schifano, la loro concezione del quadro espanso torna centrale in quest’aderenza tra spazio e opera. La pittura diviene materia biologica con una sua apertura territoriale, dove per territorio s’intende l’ampiezza di superfici in cui adagiarsi, trasformando le forme in un campo sensibile. Un colore dal ciclo biologico che “veste” i volumi in apparente movimento. I tessuti salgono verso l’alto, seguono le pareti, creano vertigini sinuose o posture fantasmatiche, somigliando ad animali preistorici ma anche a vele, panni stesi al vento, montagne in lontananza... l’artista integra le distanze metaforiche in una visuale senza schemi prefissati o canali tematici; al contrario, lascia che lo spazio influenzi le posture silenti delle opere, che la luce naturale/artificiale agisca sull’emotività scenica delle installazioni, che lo spettatore partecipi alla catarsi figurativa senza perdere le coordinate centrali del percorso. Le strutture su cui agisce il colore mappano i luoghi e ne codificano la nuova natura sensibile, al punto da trasformare le cromie in un sangue che attraversa l’intero circuito installativo.

DOMUS ESPANSA. Gli elementi dell’oasi esterna appaiono sezionati per particelle dialoganti. Da una parte il colore come volume plastico, dall’altra i materiali portanti e le strutture aggiunte (gli specchi-piuma) che si sono diramati tra le varie opere al secondo piano. La domus nel giardino sottolinea la sua natura riassuntiva e sintetica, come una summa grammaticale dell’artista, una matrice attiva da cui riprodurre nuovi organismi cellulari. Una perfetta miscela tra cervello e cuore che pulsa sotto il vecchio albero del giardino: con la ragione (il taglio polimorfico dei singoli pezzi) e l’emotività (il colore) intrecciate come un Genoma, su una linea contaminata e sinestetica che esalta i codici universali del progetto e il suo esperanto interpretativo.

IGLOO. Il cuore della mostra ha la forma aurea del diamante tagliato, diviso in due spicchi, sorta di auricolari ambientali che sottolineano la costanza del dialogo germinativo. L’igloo di Pennacchi sembra nascere da un nucleo di brillante preziosità, da una radice rilucente che si connette alle nature del mondo reale, al punto da rimodulare la sua porzione superiore, quel tetto ideale che vediamo in sospensione, come se fosse pronto al volo, aprendo la domus allo spazio senza delimitazioni, ai perimetri che liberamente immaginiamo oltre le mura. Lo spicchio superiore, denso come una corteccia multirazziale, ci sta raccontando una metafora significativa, ovvero, la crescita costante degli elementi nel ciclo naturale, visualizzabile nell’epidermide cruda che riveste l’elemento. Anche le altre opere, di conseguenza, appartengono al ciclo stagionale della vita, dentro una continua mutazione che trasforma i volumi plastici, le cromie mescolate, le strutture portanti... le domus di Pennacchi inspirano e respirano, alternando l’assorbimento del mondo con l’interpretazione dello stesso. I lavori catturano parti del reale, metabolizzandole e integrandole nel tessuto complessivo; lo spettatore assorbe ciò che l’opera produce in maniera metabolica, attuando un ciclo interpretativo che somiglia ai passaggi della fotosintesi clorofilliana.

TENDA. Il varco nella seconda sala avviene con un attraversamento fisico dentro una sorta di grande tenda, simile al modello indiano con il suo verticalismo piramidale. Il concetto di varco non ha alcuna casualità per Pennacchi, al contrario riguarda l’inizio di un atteggiamento sensibile, una disposizione verso l’opera che offre ampiezza al partecipare. Ecco, direi che l’artista intuisce il valore della partecipazione come conseguenza necessaria dentro lo spazio plasmato. Essere davanti per essere dentro, agendo sul tempo dell’opera, sui passaggi metodici da un punto all’altro del progetto, sulla progressiva trasformazione dell’opera stessa. Ci rivela una temporalità in cui agiamo con spirito consapevole e reazioni emotivamente variabili. Camminare nelle due sale è come attraversare una mutazione lenta e inesorabile, simile ai modi silenziosi in cui le cose si trasformano con ineluttabile continuità.

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12-2013 › 04-2014 PALAZZO COLLICOLA ARTI VISIVE - SPOLETO

A CURA DI GIANLUCA MARZIANI